PERCHE'
Perché quando esco di casa (e già questo è un evento raro perché mi mette ansia) riesco ad andare solo in luoghi familiari, sempre per la stessa strada e senza cambiare percorso?
Perché ho tanta voglia di andare a trovare un mio amico che ha una casa al mare ma so che non ci riuscirò mai?
Perché tante persone care mi dicono di provare un po' alla volta a guadagnare terreno cosi, giorno dopo giorno, potrò arrivare dove voglio ed IO NON CI RIESCO?
A volte qualche passo in più riesco a farlo ma di sicuro non diminuisce l'ansia, anzi... e poi la volta successiva faccio molti passi in meno.
Questo è un racconto molto frequente per chi soffre di attacco di panico con agorafobia. Giustamente chi non l'ha provato suggerisce la politica dei piccoli passi perché ipotizza che, come un po' accade in tutte le cose, se uno pian pianino si allena poi è più rafforzato e quindi capace di superare l'ostacolo.
Questo tipo di palestra è molto utile in tante circostanze ma con l'agorafobia non solo è inutile ma anche dannoso.
Non riuscire a superare un certo punto del proprio itinerario, ad allontanarsi da casa, ad uscire dai soliti percorsi, non è la conseguenza di un semplice senso di inadeguatezza che con l'esperienza si può risolvere, ma qualcosa che viene da molto lontano.
Noi sappiamo che il nostro sviluppo segue un percorso fatto di processi, che portano la psiche del neonato, un po' alla volta, a strutturarsi come una psiche adulta. Ci sono processi originari primari del neonato, processi secondari del bambino, processi terziari successivi e poi altri tipi di sviluppo.
La questione è molto semplice: ciò che ci induce a restare nel territorio familiare è frutto di un'angoscia legata ai processi originari. Il suggerimento di sperimentarsi un po' alla volta segue modalità legate ai processi terziari successivi.
Il tipo di angoscia che si prova con l'agorafobia, con il panico e con la claustrofobia è legato a qualche esperienza delle primissime epoche della vita, quando qualunque emozione è totalizzante, qualunque frustrazione è oceanica, quando il piacere è felicità infinita ed il dispiacere è angoscia mortifera. E per capire ciò basta vedere le reazioni di un neonato alle gratificazioni ed alle frustrazioni. Egli si identifica talmente in quella emozione che sta provando da diventare lui stesso l'emozione e non solo l'attore che sta provando quell'emozione.
A quell'epoca non esiste ancora il perimetro tra sé e gli altri, tra sé e il mondo. Ecco, questo è il tipo di angoscia che prova, o meglio riprova nel momento della crisi chi vive quei disturbi.
I processi primari riguardano quella complessa attività che svolge la mente umana in epoca neonatale per riuscire ad identificare se stesso differente dal resto del mondo, per trovare un confine ed una identità.
I processi secondari ci portano alla capacità di comunicare agli altri la nostra identità e quindi riguardano la creazione del linguaggio, la strutturazione del simbolo, eccetera.
I processi terziari riguardano il nostro stare con gli altri, la nostra collocazione nel mondo esterno, la sfera delle credenze religiose, ideologiche, sociali in senso ampio e quindi le nostre ipotesi di problem solving, cioè le nostre strategie per i problemi; in poche parole il nostro modo di stare nel mondo. Quindi:
1. appena nato sono fuso e confuso con l'universo,
2. dopo aver capito che c'è un limite tra me e il mondo grazie ai processi primari, dopo aver imparato a far comunicare il mio mondo interno con il mondo esterno grazie ai processi secondari,
3. penserò a come collocare il mio mondo interno nel mondo esterno grazie ai processi terziari, cioè cercherò di dare una risposta al contesto che mi circonda per organizzare nel migliore dei modi il mio quotidiano, utilizzando le competenze che ho acquisito per rispondere al principio di realtà.
Se durante lo sviluppo dei processi primari si crea un intoppo, si determinano delle patologie che sono diverse da quelle che si determinano durante lo sviluppo dei processi secondari piuttosto che dei terziari.
DAP, agorafobia e claustrofobia sono legati a problematiche dei processi primari: per questo motivo le angosce che mi procurano sono così devastanti.
Ora, se io per dare una risposta a questo problema attivo le mie capacità di problem solving e ragionando ipotizzo che con un passetto alla volta posso superare il problema, sto utilizzando un ragionamento frutto di processi terziari per risolvere un problema frutto di processi primari. E' come se con un secchiello volessi svuotare il mare. Con un secchiello io posso svuotare una pozza. Svuotare una pozza può anche essere problematico, oneroso, complesso ma possibile; svuotare il mare con un secchiello è improponibile.
ALLORA COSA DEVO FARE?
Questo è un altro tema che troppo frettolosamente viene affrontato creando spesso più ansia di quanto ne risolva.
Prima di avere una risposta bisogna capire cosa significa un'angoscia primaria, sentirla sulla propria pelle, nelle viscere, ed in quel momento avere la consapevolezza che si è attivato qualcosa di primario e non di terziario.
In quel momento non posso pensare a risolvere il problema (ad esempio raggiungere la meta fuori dai territori familiari) ma posso solo attuare delle tecniche per placare l'ansia. Di tecniche per placare l'ansia ce ne sono svariate. Però sia ben chiaro: stiamo dicendo cosa devo fare per placare l'ansia e non di cosa fare per raggiungere la meta che mi ero prefissato, ad esempio la casa a mare del mio amico. Se voglio raggiungere la meta, devo prima curare il mio disturbo, ed è ridicolo pensare che io riesca a curare la mia malattia mentre sono in preda ad un'angoscia primaria, specie se le mie poche energie residue le sto dissipando nell'inutile tentativo di svuotare il mare col secchiello. Mentre posso sicuramente attuare dei meccanismi di contenimento dell'ansia per poi andarmi a curare da un esperto nella sede adeguata.
Quali sono invece le tecniche per attenuare l'ansia sarà oggetto di prossimi approfondimenti.
Setting di intervento:
Lo psicodramma e gli attacchi di panico
Facciamo chiarezza sui disturbi - il DSM
Disturbo da attaco di panico (detto DAP), con o senza agorafobia
Agorafobia con o senza attacco di panico